Una mamma: come tutto è iniziato

Barcellona è una città stupenda. Ti prende, ti cattura, ti coccola, ti entra dentro: quando devi lasciarla non vedi l’ora di tornare.

La prima volta che io e Roberto ci andammo era gennaio: clima mite e dolce, una “vita” incredibilmente coinvolgente, sia di giorno che di notte. Anche se il motivo della nostra presenza era ben diverso da una semplice gita turistica, ci godemmo appieno ogni istante, come un momento tutto per noi, da assaporare e gustare piano piano, senza fretta, da portare per sempre nel nostro cuore.

A Barcellona siamo andati perché volevamo avere un bambino. L’abbiamo voluto con tutte le nostre forze dal primo momento in cui ci siamo visti, ma in modo naturale proprio non ci siamo riusciti. Così abbiamo deciso di rivolgerci alla scienza medica.

In quel meraviglioso gennaio pieno di sole ci recammo presso la Clinica che avrebbe dovuto aiutarci a realizzare il nostro sogno. La struttura si presentava molto accogliente: organizzazione efficiente, aspetto curato, attenzione ai dettagli. I pazienti stranieri venivano coccolati e seguiti passo passo. Il medico, in un ottimo italiano, ci spiegò con dovizia di particolari tutta la procedura, consegnandoci manuali operativi ed informativi chiari e completi.

In quel tardo pomeriggio di fine gennaio, appena usciti dalla Clinica, ci guardammo negli occhi e ripetemmo all’unisono: “facciamolo!”. Anche la città era dalla nostra parte: la serata era gradevole e tranquilla, il cibo eccellente, la cortesia catalana inimitabile, la notte accesa di mille luci, colori, sapori, odori, parole, sogni, stelle.

Tornati a casa la magia di Barcellona ci seguì passo passo per i successivi due mesi. Tutto appariva emozionante: le terapie ormonali, le telefonate delle coordinatrici della Clinica per fornirmi le necessarie istruzioni, anche i piccoli disturbi associati e le attese: tutto aveva un preciso senso logico, tutto si andava ad inserire nel puzzle del mio sogno: quello di essere mamma; e anche del nostro sogno: quello di avere un bambino.

Finché, in una fresca giornata di metà marzo, arrivò la fatidica telefonata: “signora, tutto è pronto, tra tre giorni possiamo trasferire gli embrioni”. Cinque piccoli esserini, poche cellule di vita umana, ci attendevano speranzosi.

Organizzammo questo secondo viaggio in uno stato d’animo totalmente diverso rispetto al primo. Ora Barcellona, la città dei sogni, ci aspettava con una nuova promessa: cambiare le nostre vite. Arrivammo la sera, le luci della città erano più sfolgoranti che mai, la primavera era già alle porte e tutto parlava intorno a noi, raccontandoci storie fantastiche di nuove vite. Ero serena ed emozionata.

La mattina dopo la Clinica ci apparve ancora più accogliente e materna. Subito ci chiesero: “quanti embrioni volete trasferire, uno o due?” E noi, come due mesi prima ci eravamo detti all’unisono “facciamolo”, pronunciammo sempre all’unisono, senza incertezza alcuna, il fatidico numero: “due!”

Sia il medico che effettuò la procedura che il resto del personale furono di una delicatezza e cortesia infinite. Mi sentivo protetta, al sicuro. Roberto fu accanto a me in ogni istante. Durante il trasferimento il medico mi mostrò una linea luminescente sullo schermo dell’ecografo: “Vede? Lì ci sono gli embrioni”. Per la prima volta mi sentii un grembo accogliente. Qualcosa stava cambiando: gli esserini nel mio corpo dipendevano da me, in tutto e per tutto; io avevo il compito di aiutarli a crescere, donando loro il luogo ideale per farlo.

Quando uscimmo dalla Clinica era una mattinata splendente, calda e assolata. Il mio cammino era appena cominciato, Roberto mi adorava, Barcellona non mi avrebbe più lasciata e io promisi a me stessa che un giorno ci saremmo tornati con i nostri bimbi.

Pochi giorni dopo mi svegliai e seppi che i miei piccoli erano ancora con me, strenuamente ancorati al mio utero. E lì scoprii che non ero più la stessa donna e mai più lo sarei stata. Proiettavo magicamente un’ombra dorata sul muro della stanza: l’altra me stessa, quella che avevo lungamente desiderato essere, una mamma.